Bear, il valore di un marchio e di un logo nella mente del consumatore

logo Bear e "Un mercoledì da leoni"

Non tutti abbiamo compreso a pieno la potenza degli “influencer” la potenza degli spot inclusi all’interno dei film Hollywoodiani e dei modelli che propongono.

Potenza che si può concretizzare in un marchio. Come infatti vi diciamo sempre solo il marchio consente di convogliare e accumulare il valore delle energie e delle opinioni dei consumatori.

A tal proposito mi sembra molto significativa la storia del marchio di surf e abbigliamento “Bear”.

La storia è stata recentemente narrata da un punto di vista insolito, che non coincide con il punto di vista del vincitore, al podcast Surf Splendor da Billy Hamilton.

Billy Hamilton era uno stuntman nel film “Un mercoledì da leoni” (Big Wednesday) del regista John Milius.

Nel film, che racconta la vita di surfisti in California, un artigiano appassionato di surf è chiamato “Bear” dai surfisti e costruisce tavole da surf per i protagonisti.

Bear utilizza un logo sulle tavole, un logo molto forte e caratterizzante con l’immagine di un orso davanti a un rombo rosso mattone. Come avrete riconosciuto si tratta esattamente dello stesso logo che attualmente utilizza l’azienda Bear su abbigliamento e tavole da surf non più in un film Hollywoodiano, ma nella realtà attuale.

Tornando al racconto di Billy Hamilton, lo stesso afferma che uno dei produttori del film sia andato da lui mentre le riprese stavano per concludersi per chiedergli se volesse usare il logo dell’Orso sulla sua linea di tavole da surf. “Non voglio avere problemi con la Warner Bros”, dice di aver risposto lo stuntman al che il produttore. Tuttavia pare che quest’ultimo abbia risposto: ”Ah, non credo che la Warner Bros farà qualcosa con questo film. Abbiamo già dato il permesso ad altre quattro persone di usare questa cosa”.

Hamilton racconta di aver iniziato con zero e di aver avuto, il primo anno, ordini per tre milioni di dollari, sette il secondo anno, dodici il terzo.

Hamilton ha anche registrato il marchio nel mondo e si dice che un “Avvocato” (io direi un consulente) in Europa gli abbia detto di aver bisogno di una prova del diritto di copyright dell’opera.

Non so se i fatti siano riportati correttamente, spesso i non professionisti confondo copyright e registrazione del marchio, ma la questione sembra credibile anche nelle parole. Il logo Bear è infatti caratterizzato da un’importante ed elaborata forma grafica.

A questo punto Hamilton racconta di aver richiesto il copyright al regista del film, a Milius.

Come avrete intuito questo fu l’inizio di una lite furiosa, non priva di botte reali e legali, conclusasi con la vittoria finale del regista.

Oggi, sulla home page italiana del sito ufficiale del marchio (https://www.bearsurfboards.eu/) è riportato: “Nel 1978 John Milius sviluppa il brand Bear Surfboard per il film Big Wednesday.”.

Ad ogni modo la storia dimostra la quintessenza dei marchi: il loro maggior valore è nella mente del consumatore. Che poi questa sia stata raggiunta da un film Hollywoodiano o dal suggerimento di un amico ha poca importanza. In questo caso il marchio non vendeva alcun prodotto prima dell’apertura dell’azienda, ma aveva comunque un enorme valore perché impresso nella mente dei consumatori: i surfisti. Se non fosse stato così Hamilton avrebbe potuto semplicemente cambiare il marchio mantenendo sostanzialmente inalterato il successo dell’azienda.

Da consulente in proprietà industriale mi sorgono altre domande.

In Italia? Come avremmo trattato il Marchio Bear?

E se il marchio Bear avesse avuto un impronta grafica minima? Il Copyright sarebbe stato rilevante?

A mio pare in Italia abbiamo un bellissimo articolo, che è l’art. 8.3 CPI che specifica: Se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall’avente diritto, o con il consenso di questi, … i segni usati in campo artistico.